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Il rosato: un vino fresco, profumato e dall’irresistibile nuance pastello, ma che genera ancora confusione e scetticismo.

Allontanandosi dalla più tradizionale scelta tra bianco e rosso, c’è ancora chi si domanda se si ottenga mischiando le due tipologie.

Raccontare un rosato, perciò, diventa il modo migliore per fare chiarezza riguardo agli aspetti salienti della vinificazione, argomento che risulta arduo tra i non addetti ai lavori. Bisogna però sfatare un mito e chiarire che in Italia è proibito produrre vini rosati mescolando il vino rosso con il bianco.

La vinificazione del rosato prevede sempre l’impiego di uve rosse. L’utilizzo di mosto da salasso per produrre vino rosato è una tecnica utilizzata per la produzione di rosati di scarso livello qualitativo. La tecnica del salasso, infatti, consiste nel togliere una parte di mosto, dalla massa di uve rosse appena pigiate per aumentare il rapporto tra bucce e mosto, in questo modo si ottiene un mosto più ricco di colori e struttura per la produzione di vini rossi corposi. Rimane però una parte di mosto sporcato di colore che alcuni usano per produrre il rosato. Spesso però il vino rosato da salasso risulta essere sgraziato, duro e poco fresco, perché le uve sono state raccolte con una maturazione avanzata con poca acidità e grandi quantità di zuccheri e polifenoli (caratteristiche ottime per la vinificazione in rosso ma non per un vino rosato). Per la produzione di vini rosati di grande qualità bisogna raccogliere le uve rosse precocemente, al giusto grado di equilibrio tra zuccheri, acidità e freschezza aromatica ed effettuare una classica vinificazione “in bianco” previa un contatto leggero tra bucce e mosto per l’estrazione del colore. Nel 95% delle uve prodotte infatti il colore si trova solo sulla buccia e quindi c’è bisogno di far macerare le bucce nel mosto per estrarre colore.

3S L’Aleatico Rosato.

Il 3S Aleatico Rosato è nato nel 2019, ultimo arrivato della linea 3S Sostenibile Senza Solfiti, dopo diversi esperimenti della Trebotti.

Il vitigno, tra i principali autoctoni della Tuscia, appunto, è l’Aleatico. Vitigno a bacca scura, semi-aromatico, ricco di caratteristici sentori di rosa canina, dovuti alla grande quantità di terpeni presenti per i quali sembra derivare da una variazione ancestrale di un moscato.

Probabilmente portato dai greci in Salento (Magna Grecia) è arrivato nella Tuscia, nell’areale del lago di Bolsena (sui monti Vulsini), grazie agli Etruschi (i primi a coltivare la vite e a fare il vino in Italia) più di 2.500 anni fa. L’etimologia del nome più accreditata, deriverebbe da “Lugliaticum” dal periodo di inizio della maturazione di questo vitigno sull’isola di Creta da dove sembra provenga. Da allora è rimasto uno dei vitigni più rappresentativi della Tuscia e l’Aleatico di Gradoli è stata la seconda DOC nata in Italia (1972).

Ludovico proprietario e agronomo dell’azienda biologica Trebotti è uno dei maggiori esperti di Aleatico al mondo poiché nel 2001 ha iniziato a studiare questo poliedrico vitigno per la tesi di laurea e da allora non ha mai smesso, sperimentando diverse tecniche e processi al fine di migliorarne la qualità in campo ed in cantina. Nel 2010 è stato impiantato in azienda circa un ettaro di Aleatico, scegliendo il primo clone di questo vitigno registrato in Italia, nato proprio dalla tesi sperimentale di Ludovico, con il quale Trebotti produce il 3S L’Aleatico Rosato e il nostro Bludom Aleatico Passito.

La vendemmia di questo vino, avviene tra la fine di Agosto e gli inizi di Settembre ed è del tutto particolare.

Le uve destinate alla produzione dell’aleatico rosato vengono raccolte a mano effettuando un diradamento, vengono selezionati solo i grappoli meno invaiati (meno colorati). Sulle piante resteranno le uve più mature e cariche di colore, che verranno raccolte successivamente per la produzione dell’aleatico passito. Le uve più in ombra e quindi meno colorate, risulteranno acide, fresche, profumate e meno zuccherine: un equilibrio perfetto per la produzione di un vino rosato senza solfiti aggiunti.

Le uve sono portate in cantina di prima mattina, ancora fresche e immesse nella pressa, ancora integre. Il processo prevede una leggera pressatura, in assenza di ossigeno, della durata di circa due ore, in modo da rompere delicatamente l’acino e far colorare leggermente il mosto di rosa, preservando al tempo stesso tutti gli aromi. E sono queste due ore che decidono il destino del 3S L’Aleatico e che lo rendono unico. In questo breve contatto parte degli antociani e dei polifenoli (molecole antiossidanti e responsabili del colore rosso) presenti nelle bucce passano nel mosto conferendo il colore “rosato”. Questo è esattamente quello che succede durante la vinificazione dei vini rossi dove però questo contatto dura diverse settimane. Nel caso di questo rosato dopo due ore il mosto viene allontanato dalle bucce e dai vinaccioli e prosegue la sua speciale vinificazione in acciaio senza l’aggiunta di solfiti, facendo sempre attenzione ad evitare il contatto con l’ossigeno e controllando la temperatura di fermentazione per preservare i profumi unici dell’aleatico.

Il vino, al termine della vinificazione, ha un colore “buccia di cipolla” e presenta spiccate note di acidità, sapidità e mineralità (dovute ai suoli vulcanici che ospitano i vigneti), che lo rendono fresco, gradevole e profumato.

E’ un vino con un intenso sentore di rosa canina che gli conferisce una grande versatilità negli abbinamenti: fresco ed estivo per un aperitivo o per piatti a base di crostacei o pesce ma al tempo stesso adatto anche alla carne bianca ed ai legumi.

Il 3S L’Aleatico Rosato viene imbottigliato in bottiglie ultraleggere (minori emissioni di CO2: meno vetro, meno materie prima, meno energia per la realizzazione ed il trasporto della bottiglia, meno scarti). Le bottiglie (come tutte quelle della linea 3S) sono elegantemente arricchite da una etichetta rigida in carta riciclata mista a cotone che sporge leggermente nella parte superiore. E’ un’etichetta parlante: ha più spazio per raccontare il vino, l’azienda ed i progetti di innovazione e sostenibilità. La sporgenza funge da salvagoccia. Non è incollata ma tenuta ferma da un sigillo di gommalacca in modo da poter poi agevolmente separare la carta dal vetro ed essere conservata (o regalata) come ricordo del vino bevuto.

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