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La vocazione vitivinicola della Tuscia è caratterizzata e valorizzata dalla presenza di numerosi vitigni autoctoni ed endemici. Ogni vitigno ha la sua storia, la sua provenienza. Le origini di ogni varietà si perdono nella notte dei tempi.

Ne è un esempio l’Aleatico che vede proprio nella Tuscia la sua massima espressione in termini qualitativi. La tradizione più affascinante delle origini di questo vitigno, mette le proprie radici nell’isola di Creta. L’aleatico a quelle latitudini raggiungeva la maturazione nel mese di Luglio e per questo venne denominato Lugliaticum termine che poi si è evoluto nell’attuale Aleatico. Grazie alle rotte commerciali dei Greci, questa varietà d’uva raggiunse la Magna Grecia, più precisamente il Salento, da qui probabilmente gli Etruschi lo conobbero per poi diffonderlo nella Tuscia.

La maggior parte dei vigneti coltivati nel mondo sono formati da individui cloni di una pianta madre; dal punto di vista genetico sono identici all’organismo da cui discendono. Ad esempio per il Sangiovese, il vitigno italiano più coltivato, ci sono più di 20 cloni selezionati dalla ricerca che se coltivati nello stesso terroir, presentano le stesse caratteristiche espressive (produttività, dimensione dei grappoli, numero degli acini, ecc.). Per quanto riguarda l’aleatico non esisteva un clone di Aleatico in Italia, prima della tesi di laurea in agraria di Ludovico, l’agronomo di famiglia dei tre fratelli Botti. Ludovico per tre anni (2001/2004) ha studiato in collaborazione con l’Università della Tuscia, la popolazione di piante di aleatico presenti nella zona storica di Gradoli a nord del lago di Bolsena, dove anche i romani avevano effettuato una zonazione per la produzione di vino di qualità. Con questi studi è stata selezionata la pianta più performante che poi propagata è stata registrata come pianta madre del primo clone di aleatico in Italia.

E Ludovico, con i suoi fratelli, nel 2010 ha deciso di piantarlo alla Azienda Biologica Trebotti. Il Bludom questo è il nome della versione passita dell’aleatico Trebotti, viene prodotto già dal 2006, con alcuni vecchi ceppi di Aleatico che si trovavano nella zona di Castiglione in Teverina. L’uvaggio tipico dei vecchi vigneti (40/70 anni) della zona infatti era un mix di Violone, Sangiovese (grechetto rosso) e qualche pianta di Aleatico che dava sempre la marcia in più ai vini della Teverina.

L’aleatico è sempre stato usato come “vino da messa” grazie alla presenza di tannini morbidi e profumi tipici della rosa canina, arbusto presente in tutte le aree selvatiche della Tuscia. Si presta da sempre alla vinificazione dolce ed è proprio per questo motivo che nel rispetto delle tradizioni e del territorio, ma sempre dando spazio all’innovazione, l’azienda Trebotti ha deciso di produrre un Aleatico passito.

In collaborazione con l’Università della Tuscia di Viterbo l’azienda ha messo a punto una cella di appassimento “tecno-ecologica” realizzata in sughero e legno dei monti cimini: materiali naturali che a fine vita potranno essere riutilizzati. I grappoli vengono selezionati a mano immediatamente dopo la raccolta, scartando quelli non perfettamente maturi o rovinati. Si allestisce un tavolo di selezione e manualmente vengono riempite delle cassette speciali per l’appassimento che poi vengono impilate accuratamente dentro la cella di appassimento. Questo processo viene effettuato assicurandosi che i grappoli non si tocchino tra di loro in modo da garantire la presenza di aria tra un grappolo e l’altro (cosa molto importante per evitare ristagni di umidità che porterebbero alla proliferazione di muffe da cui ora l’uva non può più difendersi in quanto staccata dalla pianta).

Innovativo è anche il sistema di disidratazione. Due termoigrometri (uno all’esterno della cantina e uno interno alla cella) dialogano con un computer che gestisce un flusso d’aria. Quando l’aria all’esterno ha temperatura e umidità idonee all’appassimento viene immessa nella cella tecno-ecologica e delicatamente, senza l’utilizzo di condizionatori e deumidificatori energivori, disidrata l’uva. Se fuori è umido, piove o fa troppo caldo, il computer blocca il flusso e attiva un ricircolo interno per tenere l’aria in movimento evitando ristagni e appassendo in maniera omogenea l’uva sopra e sotto evitando così di dover trattare le uve con prodotti chimici come avviene in molte altre situazioni. La Cella di appassimento della Trebotti riesce a risparmiare il 90% di energia rispetto alle normali celle di appassimento delle stesse dimensioni.

In circa 50 giorni l’uva perde il 50% del proprio peso, gli zuccheri si concentrano e finalmente le uve appassite possono essere portate alla pigiatrice per l’inizio della fermentazione che in pochi giorni trasformerà quest’uva in uno dei più grandi vini rossi passiti italiani. Generalmente da un chilo di uva si produce una bottiglia di vino, con l’appassimento, da un chilo di uva si ottiene un bicchiere di vino!

Merita qualche riga anche raccontare come la Trebotti abbia scelto il nome del suo passito: il Bludom appunto.

La formazione da agronomo di Ludovico è passata, nel 2002, anche per l’ENSAM (École Nationale Supérieure d’Agronomie di Montpellier) in Francia per qualche mese di Erasmus. La Trebotti sarebbe stata fondata l’anno successivo, ma Ludovico già aveva iniziato a studiare l’Aleatico. Fantasticando con Giuseppe, un altro italiano in trasferta, esperto di marketing agroalimentare, si chiesero come avrebbe mai chiamato un vino fatto con l’aleatico qualora un giorno ne fosse diventato produttore, e l’amico propose il gioco di parole, acronimo del suo nome e cognome Botti LUDOvico Maria, da cui, appunto, Bludom. Dopo quattro anni nel 2006 nacque il BLUDOM appunto, con le prime 800 bottigliette prodotte. Un vino strepitoso, dolce, fresco, con sentori di rosa canina, di frutti di bosco e di amarene con un finale sorprendente, un finale astringente che lascia la bocca fresca e non appesantita dagli zuccheri. Perfetto ovviamente con i dolci e la frutta ma sorprendente anche con i formaggi stagionati ed erborinati e con la cacciagione proprio grazie a questa sua freschezza e a questa sua capacità di “pulire e sgrassare” la bocca. Proprio per questi motivi il Bludom è il vino che chiude sempre le EcoWineExperience, i pranzi della domenica e le varie proposte di degustazione: talvolta accompagnato da un dolce, talvolta da un formaggio, come nel caso di un evento di qualche mese fa quando ad una degustazione “verticale” (diverse annate dello stesso vino), molto apprezzata dai partecipanti, è stata associata una degustazione di diverse stagionature dello stesso pecorino bio.

L’azienda con questo vino produce anche una gelatina di aleatico passito. Aggiungendo solamente qualche grammo di agar agar bio (un’alga naturale che funge da addensante) nasce la gelatina: perfetta con i formaggi, con la carne alla brace o a guarnizione sui dolci, tipo una crostata alla crema.

Così millenni di storia, arricchiti dall’innovazione e dalla ricerca, si concentrano in un vino che non è solo buono e unico nel suo genere ma rispettoso del territorio e sostenibile ambientalmente.

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